Schaufenster: Collettivo Synap(see) con Steve Bisson
Talk: 26.5.2018 Ore 11:00
Exhibition: 28.5. – 16.6.2018 (chiuso 2.6.2018)
Un triennio di investigazione fotografica quello realizzato dal collettivo Synap(see) dal 2015 al 2017 assieme al curatore Steve Bisson. Un viaggio che attraversa uno spaccato significativo dell’Italia, passando per oltre 9 Regioni e oltre 30 casi studio che interpretano e sviluppano altrettante questioni di natura ambientale e territoriale. Un impegno per ribadire la bontà della fotografia quando consapevole, altruista, onesta. Un mezzo che può ancora offrire maggiore profondità, sostegno, intuizione alla ricerca e alla critica. Foto-forum ospita un confronto aperto con il pubblico sabato 26 maggio alle ore 11:00. Un occasione per approfondirne i contenuti e dialogare sul metodo e sugli esiti. In mostra anche le pubblicazioni realizzate dal collettivo Synap(see).
Collettivo Synapsee
Nota sul triennio di investigazione tra ambiente e fotografia
Da tre anni il collettivo Synapsee, composto da fotografi provenienti da varie regioni d’Italia, ha scelto di svolgere, in modo corale delle indagini autorali su questioni che riguardano l’ambiente, la natura, la gestione e pianificazione territoriale nella penisola. Ogni anno si è scelto un tema che potesse offrire ai singoli autori l’opportunità di raccontare delle storie e dei casi studio. Senza la pretesa di essere necessariamente esaustivi e con la volontà di stimolare delle domande in chi guarda. Il collettivo esercita la propria attività anche mediante la partecipazione a mostre e incontri, la condivisione costante del proprio agire attraverso diari online e vari altri strumenti mediatici, la divulgazione con la pubblicazione di un magazine annuale.
Il primo lavoro ha riguardato una selezione di parchi nazionali e regionali. La chiave che ha guidato la lettura è stata la definizione di confine. Dove inizia e finisce un parco? Il problema dell’inquinamento da microparticelle di plastica dell’arcipelago toscano, le attività estrattive di marmo nelle alpi apuane, l’educazione ambientale nel Parco Naturale Regionale Dolomiti Friulane di Erto sono alcuni esempi di questioni prese in esame dal progetto. Se osserviamo un parco è evidente che le relazioni che esso instaura con il territorio non si esauriscono nella sua delimitazione amministrativa. In qualche modo il futuro o la salute di un parco, dipendono da ciò che accade dentro e fuori di esso. Queste relazioni esprimono un brulicare di aspettative e prospettive non sempre coerenti che invitano a ripensare la gestione dei parchi stessi.
Nel secondo anno il collettivo si è dedicato a studiare alcuni fiumi. I diversi progetti hanno messo a fuoco il rapporto, quasi simbiotico, tra uomo e corsi d’acqua che è alla base dello sviluppo delle civiltà antiche ma anche di quelle industriali fino ai giorni nostri. I casi studio scelti hanno il merito di caratterizzare questo rapporto sotto diversi punti di vista. Le opere per la tutela del rischio idrogeologico realizzate lungo l’Arno dopo l’alluvione del ‘66, le memorie di una speciale convivenza raccolte dagli album famigliari degli abitanti della terra “di mezzo” tra i fiumi Secchia e Panaro, i differenti modi di vivere e appropriarsi dell’Adige, e altre singolari storie di piccoli corsi in Toscana. Il fiume scorre per definizione, anche nella storia, e pare resistere nonostante gli acciacchi, ai tentativi umani di trasformarne il corso, di modificarne la qualità e la vita. Il fiume resta in qualche modo, ed è ciò che lo circonda e lo attraversa a modificare. Nuovamente sono le relazioni, i modi di convivenza, a delineare possibili percorsi per il futuro.
Con l’ultima ricerca, titolata “Agro”, il collettivo ha meditato sugli usi del suolo con particolare attenzione all’agricoltura, agli allevamenti e alle colture boschive. Da un paio di decenni almeno si osserva un’onda di “ritorno alla terra” cavalcata soprattutto da una nuova generazione di contadini e allevatori di piccola scala che praticano un fare votato ad una maggiore sostenibilità, rispetto degli animali e della natura. Il progetto ha raggruppato diverse testimonianze in questo senso che compongono un variopinto mosaico di esperienze e modi alternativi di rapportarsi alla terra. Produzione di erbe medicinali, salvaguardia delle api, benessere degli animali, gruppi di acquisto solidali, coinvolgimento di lavoratori diversamente abili sono alcune delle nuove buone pratiche. Affianco a queste si pongono altre sfide sollevate dai fotografi, come la corretta gestione dei boschi talvolta soggetti a massicce e discutibili operazioni meccaniche di “pulizia”, oppure il recupero di terreni un tempo produttivi e oggi abbandonati perché meno accessibili e redditizi. Una riflessione che si è estesa anche al governo del paesaggio misurandosi con una delle più grandi e storiche aziende agricole italiane.
Nel suo insieme, il triennio di investigazione realizzato dal collettivo Synapsee, ha attraversato uno spaccato significativo dell’Italia, passando per oltre 9 Regioni (dal Veneto, alla Campania, dall’Abruzzo alla Lombardia) e 30 casi studio. Centinaia di persone incontrate e decine di incontri pubblici. Questo impegno ribadisce la bontà della fotografia quando usata consapevolmente per interrogare, oltre che per scoprire, raccontare, descrivere, interpretare la realtà, e più nello specifico l’ambiente. Oltre la sua funzione didascalica, la fotografia autorale può contribuire a dare maggiore profondità, spessore, intuizione alla ricerca e alla critica.
TALK: COLLETTIVO SYNAP(SEE) CON STEVE BISSON
26.5.2018
Foto Forum Bolzano
Il collettivo nasce nel 2010 tra amicizie comuni, è un collettivo che si occupa sempre della tematica ‘uomo’ in relazione con l’ambiente che lo circonda: ogni anno scegliamo una tematica differente e il modo di approcciare tutto lo svolgimento del lavoro, dall´inizio alla fine, lo facciamo di comune accordo, quindi sempre insieme, è il nostro modo di lavorare.
Chi siamo? I toscani Giovanni Presutti, Andrea Buzzichelli, Stefano Parrini poi c’è Antonella Monzoni che è emiliana, ci sono io (Paola Fiorini) e negli ultimi due anni, attraverso una call, abbiamo dato l’opportunità ad un fotografo esterno di far parte in tutto e per tutto del collettivo, ha partecipato ai nostri incontri e per quest’anno è Simone Mizzotti.
Come è nato il collettivo. Questa è la parte interessante. È nato davanti a un bicchiere di vino, quindi è nato con delle chiacchiere, ed è nata l’idea di fare qualcosa di serio. In realtà noi ci frequentiamo da ben più anni prima, è nato da un’amicizia in comune, ci siamo conosciuti in vari festival sparsi per lo stivale e ci siamo sempre confrontati, ancor prima di fondare il collettivo. Anche se pur con linguaggi profondamente diversi tra di noi ci siamo sempre stimati come fotografi e ci siamo sempre chiesti, sul proprio lavoro personale, l’opinione degli altri. Il collettivo è stato semplicemente la naturale evoluzione, ci siamo dati delle regole ed è nato il collettivo. Abbiamo fatto lo statuto e abbiamo deciso determinati paletti, tra cui le riunioni, le tematiche e quant’altro. Ci siamo dati semplicemente delle regole formalizzando un atteggiamento che c’era già prima. Ecco, questo si. È uno scambio che si era formato già prima.
Diciamo che il lavoro di Giovanni è stato quello di capire cosa significa allevamento etico, attraverso le storie delle persone che ha incontrato e intervistato ha approfondito queste tematiche. Lui è metodico, tabella alla mano. Le immagini che ha raccolto sono di questo tipo, sono testimonianze di situazioni di un fare quotidiano che riguarda molto spesso persone giovani, con storie diverse.
Poi la particolarità è che, come vedete, ci sono alcune polaroid, lui voleva completare questo suo reportage con una serie di immagini su delle polaroid che lui ha scattato. Questi scatti poi li ha scansionati, ingranditi e li ha sottoposti alla creatività di sua figlia che ci ha liberamente disegnato sopra. Questa è diventata la copertina del magazine, è una nota leggera, però credo che tutto questo suo lavoro porta a una prospettiva nuova e diversa e quindi, in qualche modo, quello di aver coinvolto la futura generazione la rafforza ulteriormente.
Queste tre immagini sono tratte, invece, dal lavoro che ha realizzato Andrea Buzzichelli. Quello che è interessante di questo lavoro è il carattere di queste fotografie: sembrano proprio dei campi di battaglia, sono apocalittiche ed emanano l’umore che Andrea voleva trasmettere.
Le prossime immagini sono di Stefano Parrini e fanno parte di un lavoro che inizia veramente dalla sua storia personale, perché lui ha voluto affrontare il tema dei terreni marginali in Toscana. Il suo viaggio voleva raccontare per piccole tracce cosa è rimasto, in realtà non è tutto scomparso, sono ancora lì, questa memoria sembra quasi che non se ne voglia andare, è come se avessimo tentato di rimuoverla, ma in realtà è sempre lì a ricordarci da dove arriviamo. Il suo progetto è un po’ un tentativo di restituirci questi segni.
Alcune immagini erano più potenti di altre e lì è stato il passaggio: mi sono accorta che in quelle immagini, probabilmente anche inconsciamente, c’era qualcosa in cui io mi riconoscevo in qualche modo. Hanno smosso qualcosa. Io dico sempre che è un lavoro dove le immagini non le ho cercate volutamente, ma in qualche modo mi sono arrivate, io semplicemente mi sono messa in ascolto, mi sono messa in sintonia con quello che mi circondava in quel momento.
Insomma, credo che il mio lavoro sia ricco di simboli, di archetipi che riportano alla storia dell’uomo, agli albori dell’umanità, quando l’uomo raccoglitore conosceva bene i ritmi della natura, i suoi cicli, sapeva che la natura abbonda nei suoi doni ma anche che i cicli corrispondevano alla donna e che la vita e la procreazione è un potere femminile.
Comunicazione di servizio: una cosa bella del collettivo è il fatto che lo sforzo che fanno ogni anno è monitorare e condividere nel blog i lavori in corso. Questa è una cosa molto bella. Al di là dei risultati finali c’è la possibilità anche di andare a leggere le impressioni, le note, loro tengono una sorta di diario durante l’anno di ricerca ed è bello perché consente di ricostruire a ritroso le idee che cambiano, il procedere, i dubbi, le insicurezze.
Non è così scontato che un fotografo metta nero su bianco, a disposizione di tutti, anche le prime idee di partenza, che sono degli abbozzi che potrebbero essere anche rivisti. Noi abbiamo osato un po’, c’è una nota di coraggio in questa cosa, perché di solito si è molto gelosi. C’è la possibilità online di andare a curiosare nei retroscena.
Ma cosa fa un curatore di preciso? Tipo in questo caso.
– Qui è più un lavoro di coordinamento. La difficoltà qui è il prodotto finale, ciò che esce: che il processo, cioè il lavoro in corso e poi il risultato finale non siano solo la sommatoria di una serie di lavori ma che ci sia qualcosa che vada oltre la somma dei singoli.
Allora tu dai una linea guida?
– Un po’ forse l’umore generale della cosa, da una parte. Poi c’è tutto un lavoro durante l’anno con il singolo, di dialogo, di confronto per cercare anche di ragionare sul suo lavoro rispetto a quello che stanno facendo gli altri. In realtà è un insieme di attività. Secondo me il curatore è un po’ come il direttore d’orchestra.. ma a che serve il direttore, sono tutti maestri nel proprio strumento.. però se non c’è il direttore d’orchestra.. è una sorta di collante che tiene insieme le cose. Loro sono fotografi molto diversi, ognuno con la propria ricerca personale, al di là del collettivo, quindi è un tentativo anche di amalgamare e compensare le loro pulsioni interne, il loro linguaggio e bagaglio futuro rispetto a quella che è una visione di collettivo.
Siamo arrivati qui, dopo questo percorso durato tre anni, io ho sempre detto loro che l‘importante è darci un’ambizione ulteriore, crescere e andare avanti.
Posso chiederti come si diventa curatore?
– Secondo me serve fare tanta esperienza. È bene farsi le ossa dal punto di vista della produzione e della logistica, dell’assicurazione, toccare tutte quelle problematiche che quando sei un curatore indipendente devi gestire. Quindi, anche le esperienze minori sono tutte importanti perché sei come un artigiano che impara tutte le cose che sono fondamentali per il suo lavoro, senza di queste non hai idea di quello che è il lavoro vero e proprio.
Il mio lavoro molto spesso è più raccolta fondi, logistica, assicurazione, tempistiche, coordinamento, comunicazione, gestione del progetto. Non c’è solo la parte artistica, c’è tutto il resto, il grosso. Ti prendi cura di un processo.